fbpx

La Mindfulness nella clinica e nella psicologia del benessere

Il concetto di mindfulness deriva dagli insegnamenti del buddhismo theravada (vipassanā), dello zen (zazen), e dalle pratiche di meditazione yoga; ma solo negli Stati Uniti degli anni Settanta, questo modello è stato assimilato e utilizzato come paradigma autonomo in alcune discipline mediche e psicoterapeutiche europee e d’oltreoceano.[

Mindfulness è quindi una modalità di prestare attenzione, momento per momento, al “qui ed ora”, in modo intenzionale e non giudicante, al fine di risolvere o prevenire la sofferenza interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso  una maggiore consapevolezza della propria esperienza che comprende: sensazioni, percezioni, impulsi, emozioni, pensieri, parole, azioni e relazioni.

Migliorare questa modalità di prestare attenzione permette di cogliere, con maggiore prontezza, il sorgere di pensieri negativi che contribuiscono al malessere emotivo. La padronanza dei propri contenuti mentali e degli stili abituali di pensiero (capacità di automonitoraggio e metacognizione) permette maggiori possibilità di esplorazione, espressione e cambiamento di tali contenuti.

 

La teoria della mindfulness parte dalla riscoperta di metodi di cambiamento psicologico improntati a modalità intuitive di conoscenza di sé, in integrazione a metodi discorsivi e verbali di risoluzione dei problemi. In altri termini, prima di promuovere la messa in discussione delle convinzioni erronee o irrazionali che generano la sofferenza, il terapeuta agisce aiutando innanzitutto la persona a cambiare la relazione con i propri contenuti mentali. Si è arrivati ad osservare che gran parte della sofferenza dipende infatti dall’identificazione coi pensieri (“io sono i miei pensieri”, “i pensieri sono fatti“), mentre il primo passo verso il cambiamento avviene grazie ad un allontanamento cognitivo dalle esperienze che si impongono nel campo di coscienza (“io ho dei pensieri”, “i pensieri sono ipotesi“).

Tale cambiamento genera la capacità flessibile di operare, quando necessario, un distacco dai contenuti mentali, che consente di osservarli con maggiore chiarezza. Questo distacco diminuisce la reattività automatica che conduce ogni essere umano a profondere rapidi sforzi per evitare la sofferenza. Questi sforzi, ironicamente, possono essere di per sé apportatori di ulteriore sofferenza, poiché si basano su ideali irrealistici di “trasparenza” emotiva, rimarcano l’inaccettabilità del momento presente e pongono gli obiettivi di felicità nel futuro.

La mindfulness promuove esperienze di accoglimento del presente, di comprensione più ampia e delicata delle difficoltà e di tolleranza delle emozioni e delle percezioni negative quali esperienze da includere ed attraversare con equanimità nel proprio percorso esistenziale.

Equanime è quello stato emotivo stabile, responsivo e non reattivo, propizio alla focalizzazione dell’attenzione sul momento attuale e caratterizzato da costanza dell’umore, distacco e serenità al cospetto delle cose e dei fenomeni effimeri

Negli ultimi anni si è registrato un aumento significativo del carico di lavoro, accompagnato da una crescente complessità delle dinamiche organizzative. I cambiamenti nei modelli produttivi, la pressione costante al raggiungimento degli obiettivi, la digitalizzazione e l’iperconnessione hanno trasformato radicalmente il modo di lavorare. Il tempo si contrae, le richieste aumentano, le pause si assottigliano e la disponibilità sembra dover essere continua.

In questo scenario, lo stress lavorativo è diventato una condizione sempre più pervasiva e normalizzata. La rilevanza di questo fenomeno non riguarda solo la salute psicofisica del singolo lavoratore, ma si estende all’intero sistema organizzativo. Gli effetti dello stress in ambito lavorativo si manifestano su più livelli: da un lato, generano disagi individuali come ansia, insonnia, irritabilità, fino a condizioni più strutturate come burnout e depressione; dall’altro, impattano direttamente su dinamiche aziendali, portando a fenomeni come l’assenteismo, il turnover, la riduzione della produttività e il deterioramento del clima interno.

Come confermato anche in una recente rassegna della letteratura scientifica di Menardo et al. (2022), lo stress legato al lavoro produce pertanto conseguenze tangibili sia per i soggetti singoli che per le organizzazioni. Per affrontarlo, si distinguono generalmente due tipi di intervento: gli interventi individuali mirano a rafforzare la capacità delle persone di fronteggiare lo stress, promuovendo strategie di coping e di resilienza personale, con l’obiettivo di modificare il modo in cui viene percepito e vissuto il potenziale stressor; gli interventi organizzativi, invece, agiscono sulle cause strutturali dello stress, modificando i fattori legati al contenuto del lavoro e al contesto in cui viene svolto, e richiedono una revisione più ampia delle dinamiche e della cultura aziendale (Menardo et al., 2022).

In entrambi i casi, ciò che si cerca è un cambiamento nella relazione con l’esperienza lavorativa: una diversa qualità dell’attenzione, una maggiore capacità di auto-regolazione, un modo più consapevole di stare dentro le pressioni quotidiane. È proprio in questa direzione che la mindfulness si rivela uno strumento potente e trasformativo.

In un contesto professionale sempre più orientato alla velocità, alla performance e al multitasking, la mindfulness si configura come una pausa intenzionale, uno spazio di consapevolezza all’interno della frenesia operativa. È un momento in cui l’attenzione si ancora al presente, sottraendosi alla frammentazione mentale generata da stimoli continui e richieste simultanee. In questa pausa, l’esperienza lavorativa può essere osservata con maggiore lucidità, e il rapporto con lo stress può cominciare a trasformarsi.

La mindfulness non interviene sulle variabili esterne come il carico di lavoro, le scadenze, i conflitti, ma sulla modalità con cui ci si relaziona a questi elementi. Invece di reagire automaticamente agli stimoli, si coltiva una risposta più consapevole, fondata sull’osservazione, la regolazione emotiva e la sospensione del giudizio. Questo cambiamento, all’apparenza sottile, produce effetti profondi sul benessere individuale e sulle dinamiche relazionali e organizzative.

Numerosi studi scientifici confermano che praticare regolarmente la mindfulness contribuisce in modo significativo alla riduzione dello stress percepito, al miglioramento dell’equilibrio emotivo e all’aumento della resilienza psicologica. Grazie alla mindfulness emerge una grande trasformazione soggettiva: il lavoratore mindful non è solo più calmo o rilassato, ma è più presente, concentrato, in grado di abitare il proprio ruolo con maggiore consapevolezza.

Un esempio concreto di efficacia della mindfulness in ambito lavorativo proviene da uno studio condotto da Yang, Tang & Zhou (2018), in cui un gruppo di infermieri psichiatrici è stato coinvolto in un intervento basato sul protocollo MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction). I risultati hanno evidenziato che, al termine del percorso, i partecipanti che avevano praticato mindfulness mostravano un miglioramento significativo della salute mentale generale, accompagnato da una riduzione dei livelli di ansia, depressione e stress lavorativo (Yang, Tang & Zhou, 2018).

Questo dato conferma come la mindfulness possa rappresentare uno strumento efficace anche in contesti professionali altamente complessi, promuovendo non solo un maggiore equilibrio psicologico individuale, ma anche una maggiore sostenibilità del lavoro stesso.

In ambienti ad alto impatto emotivo, la capacità di portare attenzione al momento presente si traduce in una maggiore stabilità interna e in una miglior gestione delle dinamiche quotidiane.

La mindfulness consente di riconoscere tempestivamente i segnali di sovraccarico e di prendere decisioni con maggiore chiarezza, anche in situazioni complesse.

Questa capacità è particolarmente preziosa in ambienti ad alta pressione, dove la reattività emotiva e la fretta decisionale possono compromettere tanto l’efficacia quanto le relazioni.

Coltivare la presenza mentale significa anche affinare l’ascolto, sviluppare empatia e ridurre i conflitti interpersonali, rendendo il contesto lavorativo più collaborativo e sostenibile.

Un ulteriore punto di forza della mindfulness è la sua adattabilità al contesto professionale, in quanto non richiede condizioni particolari, né tempi lunghi. È un modo diverso di essere presenti, che non implica rallentare il lavoro, ma lavorare con maggiore lucidità e connessione.

Non si tratta, dunque, di “fare mindfulness” come un’attività in più nella lista delle cose da svolgere, ma di portare una qualità mindful nel fare: attenzione, intenzionalità, apertura. Questo approccio, se sostenuto nel tempo, genera un cambiamento nella cultura lavorativa, promuovendo ambienti più consapevoli, etici e orientati alla cura, non solo alla prestazione.

 

– Yang, J., Tang, S., & Zhou, W. (2018). Effect of Mindfulness-Based Stress Reduction Therapy on Work Stress and Mental Health of Psychiatric Nurses. Psychiatria Danubina, 30(2), 189–196. 

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29930229/

 – Menardo, E., Di Marco, D., Ramos, S., Brondino, M., Arenas, A., Costa, P., Vaz de Carvalho, C., & Pasini, M. (2022). Nature and Mindfulness to Cope with Work- Related Stress: A Narrative Review. International Journal of Environmental Research and Public Health, 19(10), https://doi.org/10.3390/ijerph19105948


Img Freepik